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La mia mini-inchiesta sul rigassificatore

È finalmente online la mia mini-inchiesta sul rigassificatore Api di Falconara Marittima e Ancona, cui avevo fatto cenno un paio di settimane fa, corredando un mio precedente intervento su questo blog dei documenti ufficiali citati nell’articolo in questione. Potete leggere il testo integrale dell’inchiesta sull’«Indiscreto». Buona lettura.

Informazione online, fra qualità e velocità

12 agosto 2011 4 commenti

La gatta frettolosa – si suol dire – fa i gattini ciechi. È questo un proverbio che ben si attaglia al regno dell’informazione, specialmente giornalistica e più che mai internettiana. La frase sintetizza infatti uno dei principali problemi del giornalismo: il rapporto fra qualità, quantità e rapidità dell’informazione. La questione tocca sia il lato producer che il lato consumer, per quanto le due categorie siano interscambiabili e tendano oggi più che mai a confondersi (tanto da far parlare di “prosumer”).

Del lato producer ha parlato in tempi recenti lo scrittore Suketu Mehta in un articolo ripreso e tradotto dall’«Espresso» il 5 agosto. Mehda sostiene che «nel giornalismo qualcosa non va». Ragionando sul caso Breivik, l’intellettuale indiano ci racconta che

Nelle prime 24 ore dopo gli attacchi [in Norvegia, ndr], i mass media – compresi il “New York Times”, il “Wall Street Journal”, il “Washington Post” e un gran numero di blogger di destra – ne hanno subito attribuito la responsabilità ai fondamentalisti islamici. Ma non appena si è visto che la colpa ricadeva invece sui crociati di fede opposta, sono rimasti istupiditi.

Del fatto segue una sua valutazione assai interessante del “teorema della gatta frettolosa”:

Il movimento Slow Food, nato a Torino, ha migliorato notevolmente la qualità del cibo nei paesi in cui opera. Allora io propongo qualcosa di analogo per il giornalismo: un movimento Slow News.

Prima di azzardare un’opinione, i giornalisti che vi aderiscono dovrebbero verificare pazientemente le fonti di informazione, confrontare i diversi punti di vista, vagliare con calma tutte le ipotesi, mettere tutti questi ingredienti nel forno e solo dopo procedere a un assaggio. Le migliori analisi sono quelle che, come il buon pane, hanno avuto il tempo di lievitare. Twitter è uno strumento utile per diffondere notizie sulle rivoluzioni, meno invece per pronunciare giudizi.

Seguono poi delle ulteriori considerazioni sul giornalismo online:

C’è qualcosa che non va oggi nel giornalismo. Internet consente facilmente di scatenare la collera. Non si ha mai di fronte la persona che si sta attaccando, non si vede la sofferenza sul suo volto quando la si ferisce. Prendiamo il caso degli articoli controversi: sono pieni di rivelazioni sconvolgenti, di supposizioni che dovremmo tenere normalmente riposte negli anfratti della nostra mente.

Breivik non avrebbe potuto operare senza Internet. Il suo risentimento verso il multiculturalismo era nutrito ed esaltato da blogger che fomentavano l’odio, in modo molto simile a quello propagato dalle emittenti radiofoniche degli hutu durante il genocidio del Ruanda. I blogger e gli ospiti di dibattiti radiofonici tendono entrambi alle analisi improvviste, a scrivere o parlare prima di pensare.

Bertrand Russell ha scritto un saggio intitolato “Elogio dell’ozio”, in cui ha proposto che si lavori solo quattro ore al giorno, così si ha tempo per pensare, bighellonare, socializzare, schiacciare un pisolino. Molti giornalisti dovrebbero leggerlo. Quelli che hanno risposto immediatamente alle notizie del massacro in Norvegia stavano lavorando troppo, e male. Non hanno dato prova di indolenza, ma di pigrizia mentale.

Se soltanto fossero stati più lenti e riflessivi – prendendo in considerazione altre ipotesi durante una passeggiata nei campi o mentre se ne stavano sdraiati sotto un ventilatore nella torpida calura pomeridiana – sarebbero stati molto più precisi. E avrebbero sfornato un manicaretto più appetitoso, da digerire lentamente.

Quanto al lato consumer, lo stesso 5 agosto l’agenzia di stampa Adnkronos riporta un commento rilasciato da Piero Angela in occasione del ventennale dell’invenzione del World Wide Web. Parole piuttosto illuminanti:

La vera rivoluzione del web è stata quella di aver creato tribù. Ora non c’è più solo il villaggio, accanto a questo si sono create delle reti di persone, delle piccole tribù di gente che condivide gusti, passioni o professionalità e che magari prima erano sparsi per il mondo, con pochissime possibilità di conoscersi e dialogare.

Sebbene questo strumento consenta a tutti di esprimersi, e ciò è un bene, quello che la gente deve capire è che ora più che mai sono importanti i contenuti. È come la Tv, si è passati dal bianco e nero al colore, ma l’importante resta quello che ci si mette in programmazione. Quello che è necessario è che le persone comprendano al meglio le potenzialità del mezzo, per poterlo utilizzare in maniera appropriata e soprattutto intelligente.

Producer e consumer – l’abbiamo già detto – non sono categorie impermeabili. Ergo, deve esserci un nesso fra la tesi di Suketu Mehda e quella di Piero Angela. Ma qual è precisamente?

Il nodo, come da titolo, è il rapporto fra la qualità e la quantità-velocità dell’informazione in rete. Innanzitutto, maggiore è la quantità o la velocità di produzione delle notizie, minore è la qualità dell’informazione trasmessa da queste (da qui l’opportunità di un movimento “Slow News”). A ciò si aggiunge il fatto per cui oggigiorno il numero di informazioni che siamo potenzialmente capaci di ricevere è sensibilmente inferiore al numero di informazioni che siamo in grado di gestire. Ciò obbliga il consumer a fare una selezione delle informazioni in entrata. Con quale criterio?

All’aumentare della quantità-velocità delle notizie diventa mediamente più facile incappare nel “bias di conferma”, fenomeno ben noto agli psicologi: il succo è che la nostra mente tende al risparmio energetico, e trova naturalmente meno faticoso accumulare informazioni a riconferma delle nostre opinioni piuttosto che cercare informazioni idonee a costringerci a rielaborarle. Il rischio è che su una scrematura resa necessaria dalle circostanze prevalga una potatura degli argomenti a noi più scomodi.

Il consumer, tuttavia, quasi mai si comporta come un buco nero, in cui le informazioni entrano senza più uscirne, ed anzi spesso avviene che in certi contesti esso svolga l’attività di producer, scambiandosi di ruolo con altri producer che, relativamente alle nuove informazioni, a loro volta assumono veste di consumer, e via di questo passo in una specie di continua “danza dei prosumer”. Ecco le «tribù» di cui parla Angela, all’interno delle quali il rischio più grande è quello del pensiero unico, per cui le potature operate da un membro si propagano agli altri senza che a fondamento di ciò sia riconoscibile un processo razionale, dialettico e argomentativo sufficiente, ma solo un’adesione di tipo emotivo, inutilmente retorico e volentieri preconcetto.

Con questo è ovvio che non ho intenzione di demonizzare le tribù in sé. Ma di invitare ad esser cauti nel dare una notizia – ok – rispettando nei limiti del possibile i ritmi della rete, ma senza sacrificare l’informazione in nome della notizia (perché non sono la stessa cosa). In altre parole, non ce l’ho con la gatta. Ce l’ho con la sua fretta.

Ps. Vale la pena di spendere un minuto in più per chiarire una cosa. Ho parlato prevalentemente di informazione online, ma ciò non toglie che il discorso riguardi, coi dovuti adattamenti, il giornalismo su carta. Tuttavia, per quest’oggi ho voluto evitare di mettere sul fuoco troppa carne.


Documenti relativi alla mini-inchiesta sul rigassificatore di Falconara/Ancona

In questi giorni sta facendo il giro di Ancona e provincia il numero dell’«Urlo» che contiene una versione della mia mini-inchiesta sul rigassificatore di Falconara Marittima. Presto pubblicherò un link alla versione originale dell’articolo.

Nell’attesa, ho caricato su Google i principali documenti che ho utilizzato per scrivere il pezzo. Nello specifico, sono disponibili i sette volumi del Pear delle Marche, il dossier Damac e la delibera 579 del 2007 cui è allegato lo Schema di sviluppo strategico alternativo dell’area Api.

I file possono essere liberamente consultati e scaricati a questo indirizzo.