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Archive for the ‘Rassegna stramba’ Category

Paola Concia e la “reductio ad hitlerum”

Davvero mi stupisce molto. L’«Avvenire», che è un giornale serio, ha la stessa posizione della Santanché, una donna che non può insegnare ciò che è bene e ciò che è male.

A dirlo – secondo le fonti di Giornalettismo – è stata Paola Concia (Pd), riferendosi direttamente a un articolo del quotidiano della Cei del 7 luglio, e alludendo inoltre alle ultime dichiarazioni rilasciate telefonicamente da Daniela Santanchè (Pdl) al «Corriere della Sera».

La citazione è un caso interessante di quella che di solito viene definita con toni evidentemente scherzosi reductio ad hitlerum, e che non è altro che una variante sul tema dell’ormai conosciuta fallacia ad hominem. Hitler rappresenta qui il tipico esempio di personaggio storico considerato universalmente malvagio.

Tuttavia, come diceva Benigni in uno spettacolo di una quindicina di anni fa, anche il führer qualche volta avrà detto «buongiorno» e «buonasera». E se io di botto vi dicessi che siccome il malvagio Adolf Hitler salutava con queste due formule allora dal momento che le usate siete malvagi anche voi?

Vi renderete conto da soli che ci troviamo di fronte a un assurdo. Voi non siete cattivi, dico bene? Nella frase detta dalla Concia non si nomina Hitler, eppure il principio utilizzato è il medesimo: la fallacia ha la funzione di bypassare la necessità di una controargomentazione nel merito dell’articolo accusato, e la realizza tirando in ballo la Santanchè (che non è Hitler, ma da parte di alcune persone gode più o meno della stessa considerazione). Il ragionamento segue in sostanza questo schema:

  • la Santanchè dice “A”;
  • la Santanché è “una donna che non può insegnare ciò che è bene e ciò che male”;
  • “A” è sbagliato;
  • l’«Avvenire» dice “A”;
  • l’«Avvenire» sbaglia.
Vi sarete già accorti di due particolari, ma ve li rendo espliciti comunque. Il primo è che in questo schema di ragionamento non trovano spazio le argomentazioni, cioè i motivi in base ai quali si assume una posizione piuttosto che un’altra. Il secondo è che, per assurdo, “A” potrebbe significare tanto “dare fuoco alle lesbiche è un diritto costituzionale” quanto “le molestie sui minori sono una cosa orribile“. Voi considerereste una cosa bella le molestie sui minori solo perché non piacciono alla Santanchè?
(se avete risposto di sì, è meglio che rileggiate tutto daccapo)

«Ricardo Franco Levi, ancora tu!». Le fallacie di Grillo

Stavo collaudando Google Reader (lo so che è una vergogna, ma ho imparato da pochissimo ad usare gli aggregatori di feed rss) quando mi sono imbattuto in un articolo dal blog di Beppe Grillo di tre giorni fa, sull’«insostenibile costo dei libri».

L’intervento è preceduto da un breve video in cui Ricardo Franco Levi, parlamentare Pd, commenta la nuova disciplina del prezzo dei libri. Vi riporto una trascrizione di quanto da lui dichiarato a sostegno della legge:

Questo è il risultato di parecchi anni di lavoro e di grande ascolto di tutti gli operatori del mondo dei libri. Per capire che cosa voglia dire questa nuova legge, basta guardare un po’ quello che può vedere chiunque entrando in una libreria: prezzi molto scontati, libri che si vendono con grandi sconti. Con quali risultati? Che gli sconti sono in realtà fittizi, perché più alto è lo sconto più, alla lunga, in realtà gli editori devono aumentare i prezzi di copertina. Contemporaneamente questo porta a una riduzione del numero degli operatori, perché i più piccoli editori e i più piccoli librai progressivamente vengono espulsi dal mercato. Con un lavoro di grande attenzione alle esigenze di tutti, abbiamo trovato un punto di equilibrio alle esigenze dei grandi e dei piccoli, dei librai e degli editori. D’ora in poi, ci sarà un limite del 15% agli sconti che possono fare le librerie e del 25% alle riduzioni di prezzo che gli editori possono fare quando promuovono le proprie edizioni.

Qual è la risposta di Grillo? Questa:

Ricardo Franco Levi, il pdimenoellino che propose la legge bavaglio sulla Rete come sottosegretario all’editoria del Governo Prodi, è ancora in circolazione a protezione degli interessi delle lobby degli editori. Mentre in Corea del Sud vengono eliminati definitivamente i libri cartacei dalle scuole, Levi è riuscito dopo due anni di duro lavoro a far approvare la nuova disciplina del prezzo dei libri. Non si potrà vendere on line un libro con uno sconto superiore al 15% del prezzo di copertina con alcune eccezioni. Levi deve capire alcune cose. La prima è che è in Parlamento per fare gli interessi dei cittadini e non degli editoriSe vuole farlo si faccia assumere da uno di questi e si tolga dai coglioniLa seconda è che il prezzo lo decide il mercato e i libri digitali costeranno sempre meno.

Nella citazione di Levi ho sottolineato l’argomentazione che fonda, secondo lui, la giustizia della legge in questione. Nella reazione di Grillo, ho sottolineato le “controargomentazioni”. E si nota all’istante come, in realtà, nel commento di Grillo non vi sia traccia di argomento idoneo a contraddire le considerazioni di Levi. Anzi, tutte le “controargomentazioni” presentate da Grillo sono, in effetti, fallaci. Vediamole più da vicino.

Quando Grillo scrive «Ricardo Franco Levi, il pdimenoellino che propose la legge bavaglio […] è ancora in circolazione a protezione degli interessi delle lobby degli editori» sta in sostanza dicendo «ancora tu? Non ti è bastato quello che hai fatto in passato? Non cambi proprio mai, eh?». La frase non entra nel merito della legge, ma suggerisce che, siccome uno degli estensori era stato firmatario di un brutto disegno di legge, allora tutte le leggi che ha firmato successivamente sono brutte. La sua firma, insomma, è una garanzia di qualità in senso negativo. Siamo davanti alla classica fallacia dell’avvelenamento del pozzo, peraltro esacerbata dal fatto che, in questo articolo, si fa uso dell’espressione generalistica e pregiudizievole «pdimenoellino» (altro marchio di qualità in senso negativo, secondo Grillo).

La frase «Mentre in Corea del Sud vengono eliminati definitivamente i libri cartacei dalle scuole […]» costituisce, a mio avviso, un caso particolare di una fallacia detta ad verecundiam. La si ha quando in un discorso ci si fa forti della convenzione, ad esempio dicendo «tutte le democrazie moderne fanno così, ma noi no, quindi noi sbagliamo». Il caso è particolare perché, in realtà, qui non ci si fa forti di una convenzione, ma del suo contrario. Sembra, cioè, di sentir dire «guarda, loro già lo fanno e noi no», oppure (che è ancora peggio) «guarda, persino loro lo fanno».

Poi, arriva il vero e proprio attacco ad hominem. Rileggiamolo:

Levi deve capire alcune cose. La prima è che è in Parlamento per fare gli interessi dei cittadini e non degli editori. Se vuole farlo si faccia assumere da uno di questi e si tolga dai coglioni. La seconda è che il prezzo lo decide il mercato e i libri digitali costeranno sempre meno.

Quindi quando Ricardo Franco Levi dice che la legge ha «trovato un punto di equilibrio alle esigenze dei grandi e dei piccoli, dei librai e degli editori», secondo Beppe Grillo, dice il falso. Tuttavia, non entrando nel merito della legge, Grillo non ci spiega il perché. O meglio, ce lo spiega, ma sfruttando una fallacia, cioè accusando l’interlocutore di fare gli interessi degli editori (e i librai?) anziché dei cittadini.

Ora, premesso che tecnicamente anche gli editori sono cittadini, è interessante l’unica argomentazione non fallace fornita da Grillo: «il prezzo lo decide il mercato». Insomma, se il prezzo lo decide una legge del Parlamento è un vantaggio per la lobby degli editori; se il prezzo lo stabilisce il (libero) mercato l’interesse tutelato è invece quello dei cittadini.

Dei cittadini… o dei consumatori? Mi si potrebbe ribattere a questo punto – e come del resto ho già fatto io – che tecnicamente i consumatori sono cittadini. Al che risponderei: sì, lo sono. E i librai?

Ps. Ho tentato, come mia abitudine, di non entrare nel merito o di dibatterne il meno possibile. Tuttavia, se qualcuno avesse una valida argomentazione contraria alla tesi di Levi, sono sicuro che farebbe un favore alla ragione ed agli italiani.

Sulla tolleranza, l’omofobia e altro materiale da editoriali

Delle pregiudiziali di incostituzionalità, che hanno fatto naufragare l’inserimento nel Codice penale dell’aggravante di omofobia, si è molto parlato nell’ultima settimana. Ma come se n’è parlato?

A titolo esemplificativo, oggi daremo un’occhiata a due articoli connessi alla recente notizia. Il primo è un editoriale di Andrea Mollica per «Giornalettismo», L’Italia non è la Norvegia. Il secondo è un pezzo che forse avrete già avuto modo di leggere stamattina sulle colonne di «Repubblica» e che in ogni caso vi ripropongo. E’ di Nadia Urbinati ed è intitolato I diritti individuali e la Lega.

Nell’editoriale, il 27 luglio Mollica esordisce così:

Un Paese tollerante, che rispetta gli uomini e li considera uguali, non considerando la religione, la pelle o l’orientamento sessuale un motivo di discriminazione. Un simile Paese è ammirato nel mondo, rispettato e preso a modello per la sua convivenza civile, anche se i mostri lo possono attaccare, e ferire nel profondo. Mostri che disprezzano i valori di uguaglianza e di rispetto verso chi non la pensa o non parla come noi.

Fin qui nulla di strano. O quasi, ma per il momento passiamo oltre. Subito dopo, il giornalista scrive:

Questo Paese è la Norvegia, ma non è l’Italia, purtroppo. Ancora una volta il Parlamento scrive una bruttissima pagina nella lunga storia della mancata tutela dei diritti civili. La Camera ha bocciato, con il sostegno della maggioranza e dell’Udc,  l’inserimento dell’aggravante di omofobia nel nostro codice penale.

Ho sottolineato quell’aggettivo perché dà una connotazione negativa a ciò a cui si riferisce. Sebbene a volte l’uso di aggettivi, e specialmente di superlativi assoluti come “bruttissima”, sia da considerarsi scorretto, il contesto (un editoriale di opinione) suggerisce che in questo caso sia accettabile.

Nel seguito, però, si legge ancora:

Se pesti una nero od un rom perché sei un razzista viene giustamente sanzionato più duramente, ma se commetti lo stesso reato perché odi i gay e le trans allora non ricevi nessuna pena aggiuntiva. Tutelare gli omosessuali, falli sentire rispettati e uguali agli altri in una società che li ha discriminati per moltissimo tempo, e ancora lo fa, è sembrato troppo avanzato, moderno o democratico ai clericoconservatori che ci governano. L’Italia non si smentisce mai, come si sapeva, e non impara neanche le lezioni che arrivano dall’estero, che ipocritamente commuovono  chi poi ogni volta nega gli stessi valori che esalta sui giornali.

Nel passo in evidenza c’è un vizio logico abbastanza palese. In apertura, infatti, si era detto, come da titolo, che l’Italia non è la Norvegia. Cioè non è «un Paese tollerante, che rispetta gli uomini e li considera uguali, non considerando la religione, la pelle o l’orientamento sessuale un motivo di discriminazione». L’Italia è, ad un tempo, razzista e non razzista. La contraddittorietà dell’idea espressa appare evidente, ed è forse strumentale alla conclusione che si vuole dare al pezzo. Campo in cui tuttavia non mi addentro per non rischiare di entrare nel merito.

Passiamo invece al secondo articolo, quello della Urbinati. Dopo un preambolo in cui dà una sommaria anticipazione della sua opinione, la politologa riassume gli eventi alla base del suo ragionamento:

In un recente comizio a Salsomaggiore Terme, concluso con la promessa che la cittadina emiliana ospiterà il concorso di Miss Padania, il Senatore Umberto Bossi ha colto l’occasione per picchettare il confine tra “persone normali” e “gli altri”. Con la stessa autorità con la quale ha dato la benedizione alla sfilata delle giovani padane, ha discettato su che cosa è giusto che gli italiani pensino dell’omosessualità, rivendicando come una vittoria di civiltà lo stop all’aggravante di omofobia nei casi di violenza imposto dal Parlamento una decina di giorni fa […] Ecco le parole di Bossi: «Non era giusto aumentare le pene per quelli che si sentono anche un po’ disturbati da certe manifestazioni, persone normali che a volte si lasciano scappare qualche parola, in senso anche bonario. Meno male che ci siamo opposti a questa legge perché non era giusta». Si tratta di una giustificazione che rovescia la verità dei fatti e, soprattutto, propone una visione distorta dell´eguaglianza e calpesta il valore della dignità umana.

Quella sottolineata è la tesi della scrittrice. Come la argomenta? Vediamo.

Rovescia la verità dei fatti perché presenta la proposta di legge per la quale il Parlamento ha approvato i pregiudiziali di incostituzionalità come punitiva delle parole e delle idee, mentre essa proponeva di considerare la possibilità di un’aggravante per i reati sulla persona quando commessi per odio nei confronti di gay, lesbiche e transessuali (un fenomeno che, come i fatti di cronaca ci dicono, è purtroppo sempre più frequente). La proposta di legge interveniva sui reati e le motivazioni di reato. Ma la giustificazione di Bossi calpesta soprattutto il valore della dignità della persona perché reitera e santifica un comportamento discriminatorio: quello delle “persone normali” verso “gli altri”, aggiungendo un codicillo precettistico che è terrificante: le “persone normali” hanno il sacrosanto diritto di offendere “gli altri”.

Un’argomentazione, come si nota, puntuale e precisa. La Urbinati, poi, passa allo scandaglio le dichiarazioni di un altro parlamentare, l’on. Cicchitto, di cui smonta la tesi trascinandola verso un assurdo. Vediamo nel dettaglio come ciò è stato possibile.

L’argomento dell’aggravante di pena per i reati di omofobia è un’applicazione non uno strappo dell’eguaglianza – la stessa legge italiana, non è un caso, già prevede sanzioni per i crimini dell’odio basati su motivi di razza, etnia, nazionalità e religione. Perché mai in questi casi i motivi discriminati sono aggravanti mentre nel caso dell’omofobia e della transfobia no? Perché solo ad alcune minoranze è dato di poter contare sulla legge per non subire discriminazione in ragione della propria scelta di vita o identità? Queste domande mettono in luce la natura discriminatoria delle motivazioni con le quali questa proposta di legge è stata giudicata incostituzionale. Ci ha assicurato l’On. Fabrizio Cicchitto che la maggioranza è stata più rispettosa dell’eguaglianza di chi ha proposto quella mozione perché rifiutando l’aggravante per omofobia ha affermato di “considerare i gay come dei cittadini uguali agli altri”. L´argomento della neutralità della legge è tuttavia sofistico perché nasconde il significato del reato e in questo modo rende la legge impotente a proteggere la vittima. Nei casi nei quali il reato è armato dal pregiudizio una legge che non vuole vedere la motivazione è una legge che non riesce a raggiungere il suo scopo. Che si malmeni o si ammazzi una persona per la sua preferenza sessuale non deve essere registrato dalla legge, per la quale ci sono solo crimini neutri commessi da individui neutri! Eppure… questa neutralità non sembra sufficiente garanzia se in questione c’è la religione, la razza, la nazionalità e l´etnia. Si può quindi obiettare che se davvero la maggioranza vuole essere coerente con la dottrina dell’eguaglianza neutra, dovrebbe cancellare dal codice penale tutti i motivi discriminanti. Questa sarebbe la risposta coerente di chi è contrario a “ogni trattamento giuridico specifico e differenziato”. Evidentemente, ci sono gruppi meglio allocati di altri, ovvero più capaci di far valere le loro ragioni di diritto e di rispetto.

Si rileva la presenza di un punto esclamativo, che personalmente considero un vezzo retorico da evitare, nonché di una tesi secondaria non molto chiara (perché «una legge che non vuole vedere la motivazione è una legge che non riesce a raggiungere il suo scopo»?). Ciò nonostante, nel complesso, il tessuto argomentativo dell’articolo è di fattura eccellente, esemplare.